

di Pablo Berger
In collaborazione con il Centro Ceco Milano, i film del focus dedicato alla Nová vlna, in occasione delle celebrazioni dei cinquant’anni della Primavera di Praga del 1968, sbarcano in sala a Firenze e a Roma.
Jiří Menzel, Jaromil Jireš, Juraj Herz, Ján Kádár e Elmar Klos: sono tra i più significativi rappresentanti di quella corrente cinematografica in contrasto con la politica di regime e desiderosa di vivere quel soffio di libertà che all’epoca attraversò tutte le forme di pensiero, che si ispira alla Nouvelle Vogue francese.
4 imperdibili appuntamenti: 10 film del Festival da (ri)vedere al cinema, a Firenze e Roma.
Mercoledì 11 aprile – Caffè Astra al Duomo, Firenze
ore 17: Ucho (L’orecchio) di Karel Kachyna
Venerdì 13 aprile – Cinema Trevi, Roma
ore 17: Obchod na korze (Il negozio al corso) di Ján Kadár e Elmar Klos
ore 19.15 O slavnosti a hostech (La festa e gli invitati) di Jan Němec
ore 20.30 Všichni dobří rodáci (Cronaca morava) di Vojtěch Jasný
Sabato 14 aprile – Cinema Trevi, Roma
ore 17: Spalovač mrtvol (L’uomo che bruciava i cadaveri) di Juraj Herz
ore 19: Žert (Lo scherzo) di Jaromil Jireš
ore 20.30 Lásky jedné plavovlásky (Gli amori di una bionda) di Miloš Forman
Domenica 15 aprile – Cinema Trevi, Roma
ore 17: Adelheid di František Vláčil
ore 18.30 Ucho (L’orecchio) di Karel Kachyna
ore 20.30 Skřivánci na niti (Allodole sul filo) di Jiří Menzel
«Risulta difficile parlare della Nová Vlna come di un movimento omogeneo, men che meno di progettualità comuni. I registi sono amici formatisi nei teatrini d’avanguardia e nei jazz-club, lavorano scambiandosi idee ed esperienze, ma ciascuno è gelosissimo della propria individualità. Uniti dall’etica, divisi dall’estetica, si diceva dei protagonisti del neorealismo. Qui a unire è la politica, a dividere il modo di intendere il “nuovo”.
Formatisi sui classici del neorealismo, su Fellini e Antonioni, attentissimi alle esperienze della nouvelle vague, in rapporto di continuo interscambio con i loro coetanei polacchi e ungheresi e, in occidente, con quelli del free cinema, questi bright young men and women, come li definisce Skvorecky, lasciano la loro firma indelebile sul periodo. C’è ancora la censura, d’accordo, ma è possibile aggirarla; anzi, essere in parte costretti nei suoi lacci stimola la fantasia, offrendo la valvola di sfogo della metafora».
«Il contesto in cui nasce e si sviluppa la nouvelle vague praghese vede un Paese, la Cecoslovacchia, la cui economia è collassata sotto la pressione del modello socialista. La conseguente crisi politica mina la credibilità dell’establishment, in difficoltà anche per i ritardi nella riabilitazione delle vittime delle purghe staliniane, che diventa oggetto di scontro all’interno del Partito. In questo panorama in lenta ma costante evoluzione, con la perdita di autorevolezza di quel soffocante apparato che è il Partito, trae vantaggio il mondo culturale. C’è, di conseguenza, un soffio di libertà che comincia ad attraversare tutte le espressioni del pensiero. Il teatro, la musica e le arti figurative possono finalmente cercare di sottrarsi ai dettami imposti dal regime».
«In campo cinematografico si viene a determinare una situazione anomala, per cui la FAMU, la scuola che ha formato intere generazioni di artisti, viene a caratterizzarsi come una sorta di zona franca per la sperimentazione. La Facoltà di cinema e televisione dell’Accademia delle arti diventa un fertile laboratorio di idee, luogo di formazione per tutti gli aspiranti cineasti, che possono, fra l’altro, avere accesso ai film stranieri grazie alla collaborazione con l’Archivio Nazionale del Cinema».
«Così, recuperando alcuni temi neorealisti, con un occhio alle vagues europee di qua e di là dalla cosiddetta cortina di ferro, nell’ambigua frequentazione di un finto cinéma vérité, la Nová Vlna parla le sue cento lingue, dall’osservazione fenomenologica alla metafora, dal “tragico quotidiano” alla fiaba filosofica, lontana dagli sperimentalismi ma nella pratica di un’inusitata libertà di forme. Senza peraltro rinunciare, pur nell’entusiasmo della costruzione del nuovo, a quelli che sembrano essere i dati costitutivi della cultura nazionale: la misura, i mezzi toni, il sorriso malinconico capace di improvvise impennate sarcastiche».
(Testi a cura di Paolo Vecchi)