
Tra enigma e magia
Nell’estate del 2002 la direzione del carcere milanese di San Vittore ordina la ristrutturazione del quarto e quinto braccio dell’istituto di detenzione. Si tratta di celle sovraffollate, occupate da più di ottocento detenuti in attesa di giudizio. Ferrario ottiene il permesso di entrare nei bracci svuotati prima della ristrutturazione. Porta con sé una macchina fotografica e per un giorno intero scatta fotografie a quei muri scrostati, fissando immagini di speranza e rassegnazione, congelando tracce di vita e di attesa in quegli spazi angusti e decadenti.
Ferrario sceglie la strada più ardua e, forse, più vera per raccontare il carcere: quella delle cose. Non c’è un volto fotografato, non il viso di un solo recluso. “Confesso di non aver avuto mai il coraggio di fotografare la faccia di un detenuto – dice il regista – mi sembrava che l’esposizione del dolore personale fosse un’ulteriore furto, un’altra beffa”. Così, fotografa liste della spesa, messaggi che i carcerati hanno scritto a loro stessi, carte geografiche annerite, fantasiose costruzioni con pacchetti di sigarette o di pasta, donnine discinte, sovente accostate a Gesù Cristi e Madonne. Quello di Ferrario è un lavoro di semplificazione, uno sguardo su come ognuno rielabora il proprio spazio e come lo spazio si modifica irreversibilmente al passaggio dell’uomo. Tre gli elementi ricorrenti: la geografia, intesa come bisogno di segnare il territorio ma anche come ricordo (nei disegni dei detenuti di cartine geografiche); la religiosità, quella un po’ infantile delle grandi immagini barocche e, spesso fortemente mescolata alla rappresentazione della fede; la sessualità, a volte in un elegante corpo femminile, più frequentemente volgarizzata (emblematico il dualismo nell’immagine della Dama con Ermellino di Leonardo accanto a quella sessualmente provocante di Paola e Chiara sulla copertina di una rivista glamour).
In occasione della mostra alla Porta di Sant’Agostino due architetti dello studio New Landscapes, Davide Pagliarini e Francesco Decandia, hanno progettato un allestimento che riflette con grande sensibilità sulla complessa dinamica che regola i rapporti tra il carcere e il mondo esterno. Le fotografie di Ferrario sono allestite lungo due corridoi di cemento; lo spettatore è costretto a percorrere uno spazio limitato, la cui estetica spoglia accoglie le immagini “strappate” dalle pareti del carcere, mentre sottili feritoie permettono di “rubare” dall’esterno qualche scorcio di immagine e dall’interno di osservare sentendosi a propria volta osservati. Lo spazio centrale, compreso tra i due volumi che ospitano le mostra fotografica, diventa luogo di incontro e di dibattito o si trasforma in arena cinematografica, ospitando le molte iniziative organizzate in occasione di “Non solo carcere per assicurare la giustizia”.
Davide Ferrario (Casalmaggiore, 1956) è regista, fotografo, produttore e scrittore. Inizia a lavorare nel campo del cinema negli anni ’70 come critico cinematografico e saggista, per poi dedicarsi a tempo pieno alla scrittura e alla distribuzione con Lab 80 film, di Bergamo. Lavora, in seguito, in qualità di agente italiano per alcuni registi americani indipendenti come Spike Lee, John Sayles, e Jim Jarmusch. Il suo debutto alla regia è del 1989 con La fine della notte, giudicato “Miglior film indipendente” della stagione. Dirige poi sia opere di finzione che documentari, che sono stati presentati in numerosi festival internazionali, da Berlino al Sundance, a Venezia, Toronto, Locarno. Tra gli altri: Tutti giù per terra (1997), Guardami (1999), Dopo mezzanotte (2007), La strada di Levi (2009) e i lavori realizzati con Marco Paolini. Rigorosamente indipendente, non è solo regista ma guida, al contempo, e con notevoli risultati la propria casa di produzione, la Rossofuoco. Il suo ultimo film di finzione è La luna su Torino (2013). Nel 2015 racconta uno dei tesori d’Italia da poco riaperto al pubblico, l’Accademia Carrara di Bergamo, nel documentario L’Accademia Carrara – Il museo riscoperto. Collabora con diverse testate giornalistiche e radiofoniche ed è anche autore di romanzi: Dissolvenza al nero (Premio Hemingway 1995) è stato tradotto in molte lingue e adattato per lo schermo da Oliver Parker. Nel 2010, è uscito per Feltrinelli Sangue mio.