

di Shôhei Imamura
Interprete di un realismo crudo e viscerale, Stéphane Brizé, nato a Rennes nel 1966, debutta nel lungometraggio nel 1999 con Les Bleu des villes, co-sceneggiato assieme a Florence Vignon, sua collaboratrice abituale. Prima ci sono stati due cortometraggi – Bleu dommage (1993) e L’œil qui traîne (1996) – e un importante apprendistato tra televisione e teatro. Da quest’ultimo, probabilmente, derivano al suo cinema due caratteristiche fondamentali come la centralità dell’attore e la precisione della scrittura, associate fin dai primi film a una messa in scena che sfugge qualsiasi effetto e lavora intensivamente sul tempo, alternando – nel solco di una tradizione molto francese che va da Pialat a Garrel – la dilatazione della scena all’ellissi profonda. A rivelarlo al grande pubblico internazionale sono in particolare gli ultimi due film, La loi du marché (La legge del mercato, 2015) e Une vie (Una vita, 2016), che, per quanto diversi tra di loro – il primo racconta di un uomo in cerca di lavoro nella Parigi di oggi, il secondo è un adattamento del romanzo eponimo di Guy de Maupassant, ambientato in Normandia all’inizio dell’Ottocento – confermano la costante attenzione (molto più che una semplice “curiosità antropologica”) per le storie degli umili. E, al tempo stesso, per le dinamiche sociali, siano esse quelle interne alla famiglia (come per esempio in Quelques heure de printemps, 2012), alle relazioni di coppia (Entre adultes, 2006, quasi uno “studio” sui rapporti sentimentali tra uomo e donna) o al mondo del lavoro. Dinamiche che Brizé analizza soprattutto in quanto “logiche di potere”, nelle quali l’essere umano vive una condizione perennemente conflittuale, in tensione tra diritti e doveri, obblighi e libertà, adeguamento al ruolo e desiderio di sconfinamento.
All’incontro seguirà un aperitivo con l’autore
Ingresso gratuito