La mia droga si chiama Julie
di François Truffaut

Louis Mahé, proprietario di una fabbrica di sigarette all’isola della Réunion, ha sposato Julie Roussel per corrispondenza. Un giorno la ragazza sparisce con tutti i suoi soldi: si scopre che non si chiama Julie ma Marion, che è un’avventuriera e che, con l’aiuto di un complice, si è sostituita alla vera Julie. Louis parte per la Francia deciso a vendicarsi e incarica Comolli, un investigatore privato, di rintracciare la donna.
Truffaut e il noir americano
Un labirinto di ambiguità, un senso crescente di smarrimento, la presenza di un destino già segnato che si percepisce in volti, cose, ambienti.
Il termine noir fu coniato dalla critica francese intorno alla metà degli anni ’50, a ridosso di quella che è unanimemente chiamata la nouvelle vague, e che alle origini ha avuto come corifei François Truffaut, Jean-Luc Godard, Jacques Rivette, Claude Chabrol e Éric Rohmer. Quella di Truffaut, che qui viene proposta con tre film, è una rivisitazione, in salsa francese e contemporanea, di alcuni “passaggi” del cinema noir. Il confronto è con altri tre film americani, due dei quali portano la firma di Billy Wilder e Fritz Lang.