North by Nothwest

Roger Thornhill, agente di pubblicità, arrestato per aver guidato in stato di ubriachezza, racconta alla polizia una storia incredibile. Mentre si trovava in un albergo di New York, era stato rapito da due uomini, portato nella villa di un certo Townsend, interrogato, costretto a bere del wisky e spinto in una automobile da corsa: si voleva evidentemente farlo morire in stato di ubriachezza. Thornhill ricorda che i suoi rapitori si rivolgevano a lui chiamandolo George Kaplan. La polizia fa indagini, ma non giunge ad alcun risultato; intanto Thornhill viene a sapere che un Townsend si trova nel palazzo dell’Onu. Il Townsend che trova lì non è però quello che ha incontrato nella villa; il loro colloquio viene interrotto in modo tragico quando Townsend è pugnalato a morte dai rapitori di Roger, che è costretto a fuggire…
«Hitchcock ribalta tutti i luoghi comuni del genere sui meccanismi della tensione. Niente buio, vicoli ciechi, ombre inquietanti. Sette minuti muti di cinema puro con oltre 130 inquadrature, trionfo della capacità visionaria sulla linearità narrativa. Hitchcock con questa scena rappresenta la crisi dell’immagine-azione, ovvero l’immagine non rinvia più a realtà sintetiche ma frammentate, l’azione non è più legata a schemi senso-motori. A corollario di ciò il personaggio non riesce più a calcolare lo spazio o ad avere un controllo sulle situazioni che al contrario divengono stranianti, astratte. Questa condizione di uomo innocente incastrato in un complotto di proporzioni gigantesche è resa visivamente dal contrasto tra le dimensioni lillipuziane del protagonista e la minaccia enorme sullo sfondo, sia essa un aereo con mitragliatrice, o il faccione del presidente Lincoln o le strutture architettoniche mastodontiche della villa di Frank Lloyd Wright. L’espediente era già stato utilizzato da Hitchcock in Blackmail (il British Museum) e in Sabotatori (la Statua della Libertà). Tra pistole caricate a salve e riflessi rivelatori sugli schermi della televisione, la storia ha il suo epilogo in un salto di montaggio che accomuna un salvataggio spericolato con l’inizio di una schermaglia amorosa all’interno di una “cuccetta matrimoniale”. La suspense si risolve in una contrazione temporale esaltata dalla sintassi filmica. Ultima immagine impertinente con un treno che penetra dentro una accogliente galleria. Chissà cosa voleva suggerirci Hitchcock? La risposta la lasciamo a Jean Luc Godard: «Alfred Hitchcock è stato il più grande inventore di forme del XX secolo e sono le forme che ci dicono alla fine ciò che c’è al fondo delle cose».
(Fabio Fulfaro, Sentieri Selvaggi, 21 luglio 2015)