

di Shôhei Imamura
Rúnar Rúnarsson, regista e produttore islandese, è nato a Reykjavik nel 1977 e ha studiato alla National Film School of Denmark. Considerato uno dei nomi più importanti del panorama cinematografico contemporaneo del suo Paese ha presentato i propri film nei più prestigiosi festival internazionali.
Echo (Islanda, Francia, 2019, 80)
Regia: Rúnar Rúnarsson
Sceneggiatura: Rúnar Rúnarsson
Montaggio: Jacob Secher Schulsinger
Scenografia: Gus Olafsson
Costumi: Júlíanna Lára Steingrímsdóttir
Musica: Kjartan Sveinsson
Suono: Gunnar Óskarsson
Interpreti: Ahd Tamimi, Ragnar Jónsson, Hansel Eagle, Nadía Sif Líndal, Telma Huld Jóhannesdóttir, Patrik Nökkvi Pétursson, Hera Matt, Ágúst Örn B. Wigum
Produttori: Rúnar Rúnarsson, Lilja Ósk Snorradóttir
Produzione: Nimbus Iceland Ehf. & Pegasus Pictures
Islanda, periodo natalizio. Mentre tutti si preparano per le vacanze, un’insolita atmosfera cala sul paese. In campagna, una fattoria abbandonata va a fuoco. In una scuola, un coro di bambini intona i canti natalizi. In un museo, una madre litiga al telefono con l’ex marito. In un salotto, una ragazza fa provare un visore per la realtà virtuale a sua nonna. Attraverso cinquantanove scene indipendenti, il film tratteggia un ritratto tenero e allo stesso tempo pungente della società moderna.
«L’istante prolungato, il momento tenuto come una nota che taglia la struttura armonica di una composizione […]. Rúnar Rúnarsson si trattiene sull’istante che dura il tempo di rendersi conto dello stato delle cose. Questa volta la narrazione è quella di un racconto di Natale diffuso, una corale intonata nella mesta festività islandese, la ritualità e le tradizioni in cui l’intero istituto sociale si riconosce. Rúnarsson lascia che l’umanità che rappresenta riecheggi in una sorta di composizione a più voci, una serie di quadri di vita in cui ogni personaggio si produce in una sorta di assolo sospeso tra la solitudine del gruppo e l’affollamento dell’individualismo. Le contraddizioni del mondo contemporaneo si offrono come traccia di una narrazione sociale tenuta nelle parentesi del benessere illanguidito nella falsa felicità da una parte, e del malessere incrostato sulla buona coscienza di facciata dall’altra.»
(Massimo Causo, duels.it, 11 agosto 2019)