

di Pablo Berger
A Miklós Jancsó, protagonista della retrospettiva BFM 34, viene dedicata una tavola rotonda giovedì 10 marzo presso il Bookshop in Piazza della Libertà.
Interverranno: Zsuzsanna Csakany, Cecilia Ermini, Gabor Gelencser, Judit Pinter, Lorenzo Rossi, Silvana Silvestri, Gary Vanisian, Paolo Vecchi, Gloria Zerbinati.
Al grande maestro del cinema ungherese Miklós Jancsó (1921-2014) è dedicata l’ampia retrospettiva storica, realizzata in collaborazione con MaNDA – Magyar Nemzeti Digitális Archívum és Filmintézet, in occasione del restauro digitale di molte opere del regista. Miklós Jancsó nasce a Vác (Budapest) nel 1921 da padre ungherese e madre rumena. Dopo la guerra, si iscrive all’Accademia d’Arte Teatrale e Cinematografica dove si laurea nel 1951. Per dieci anni realizza documentari su ordinazione e si interessa del cinema fatto altrove, avvicinando autori come Wajda e Antonioni. Il suo primo lungometraggio è A harangok Rómába mentek (Le campane sono andate a Roma, 1958), una storia ambientata nell’ultimo anno della seconda guerra mondiale, a cui seguirà, nel 1963, Oldás és kötes(Sciogliere e legare, 1963), che racconta il percorso esistenziale di un giovane chirurgo, nel quale è riconoscibile l’inquietudine di un’intera generazione. Ma è il film Szegénylegények (I disperati di Sandor, 1966), a farlo conoscere al pubblico internazionale e a farne l’esponente di spicco della nuova cinematografia ungherese. Jancsó ha ormai maturato uno stile molto personale: lunghi e audaci movimenti di macchina, piani-sequenza complessi e per certi versi sensuali, che amalgamo, in una sintesi di grande effetto spettacolare, paesaggi, coreografie, singoli individui, la brutalità del potere, il desiderio di libertà. Csend és kiáltás (Silenzio e grido, 1968), Csillagosok, katonák (L’armata a cavallo, 1967), Sirokkó (Scirocco d’inverno, 1969) e Még kér a nép (Salmo rosso, 1972), sono alcuni dei titoli che hanno costruito la fama del regista ungherese. Il tema principale della sua riflessione cinematografica è la Storia, con una scrittura che rifugge però in maniera decisa dai canoni del realismo socialista. Nella rappresentazione dello spazio – come le pianure che bene si prestano allo schieramento degli eserciti, al racconto tridimensionale – la storia dell’Ungheria assurge a simbolo delle trasformazioni politiche credute possibili in tutta Europa. Nei primi anni ‘70 gira alcuni film in Italia, tra cui il discusso Vizi privati, pubbliche virtù (1976), che trasforma la tragedia di Mayerling in un balletto erotico-funebre, in chiave austroungarica, sulla morte della famiglia. Tornato in Ungheria, realizza altri film importanti come Magyar rapszódia (Rapsodia ungherese, 1978), Allegro barbaro (1978), A zsarnok szíve, avagy Boccaccio Magyarországon (Il cuore del tiranno ovvero Boccaccio all’ungherese, 1981), Jézus Krisztus horoszkópja (L’oroscopo di Gesù Cristo, 1988) e si dedica all’insegnamento presso la Filmművészeti Főiskola Színházművészeti di Budapest, e, fra il 1990 e il 1992, alla Harvard University.
Nel 1990, Jancsó viene insignito del Leone d’oro alla carriera alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Muore nel 2014, all’età di 92 anni.
In collaborazione con MaNDA – Hungarian National Digital Archive and Film Institute e con il patrocinio del Consolato Generale di Ungheria, Milano.
All’opera di Miklós Jancsó Bergamo Film Meeting dedica il volume monografico della 34a edizione, curato da Angelo Signorelli, completo di filmografia, interviste, saggi originali e contributi di Cecilia Ermini, Gábor Gelencsér, Judit Pintér, Lorenzo Rossi, Angelo Signorelli, Silvana Silvestri, Ferenć Varga, Paolo Vecchi, Gloria Zerbinati.
Ingresso gratuito