Un condannato a morte è fuggito
di Robert Bresson

Lione, 1943. Una macchina guidata da un SS trasporta alla prigione di Montluc i prigionieri francesi. Uno di loro, Fontaine, al quale ci si è dimenticati di mettere le manette, salta dalla macchina in movimento. Viene subito ripreso, percosso, incatenato e buttato mezzo morto in una cella. I capi di imputazione su Fontaine sono pesanti. Per quattro mesi, nella solitudine della sua cella, prepara meticolosamente un’evasione, munito unicamente di un cucchiaio, pazientemente affilato sul pavimento. Per il protagonista la fuga da un carcere nazista si fa lotta, intima e pratica, contro le proprie debolezze, scontro fisico e rarefatto con la durezza delle cose. Film calvinista con attori non professionisti e la Messa in do di Mozart nella colonna musicale.
Tratto da una storia vera raccontata dal partigiano André Devigny nel 1954, il film è uno dei capolavori indiscussi della storia del cinema.
Commedia e dramma: la vita al cinema
Per questo quarto atto la rappresentazione continua sul doppio registro di commedia e dramma; il secondo elemento abbraccia un doveroso omaggio a un’altra grande figura della storia del cinema, Robert Bresson. Il suo nome non è molto diffuso tra il pubblico, ma con una filmografia di soli 14 titoli, il regista francese ha lasciato un’impronta incancellabile ed è stato un esempio per le successive generazioni di autori. Il suo è un cinema che si potrebbe definire totale, della purezza di un diamante dal taglio perfetto, dove nulla è lasciato al caso. Ogni inquadratura, ogni gesto, ogni dettaglio, presi dal disordine e dalla crudeltà del reale, si aprono alla forza del significato, al dolore dell’esistenza, alla luce della “resurrezione”. Così, non ci si deve meravigliare se un asino interpreta magnificamente il sacrificio dell’innocenza, un prigioniero della barbarie fascista l’ostinazione mai doma ed esclusiva del sentimento della libertà, un borsaiolo la rivolta necessaria per il riconoscimento dello sguardo dell’altro.
Quattro gioielli della commedia americana si alternano ai film di Bresson: due Lubitsch, un McCarey e un Cukor. Quattro sceneggiature di ferro, attori straordinari, colpi di scena, eleganza, ricatti amorosi, capovolgimenti, seduzione, malintesi, doppi sensi, schermaglie verbali. Meccanismi ben oliati, narrazioni che procedono senza intoppi, incalzanti quando la storia lo richiede, con momenti di sofisticato sarcasmo e di raffinata critica sociale. E una vena romantica che non nasconde una sottile perfidia.