Sogni in pellicola

Atto VI
Atto VI
Il lunedì a Lo Schermo Bianco la storia del Cinema in 35 mm
23 Ottobre28 Dicembre
2023

Rassegna di classici di tutti i tempi

Desiderio e vendetta

dal 23 ottobre al 27 dicembre 2023

Un nuovo capitolo di Sogni in pellicola. Tre autori che hanno lasciato un’impronta indelebile nel cinema della seconda metà del secolo scorso. Abbiamo già incontrato Shōhei Imamura la primavera scorsa, nell’ultima proposta della rassegna che continuerà a caratterizzare la futura programmazione a Lo Schermo Bianco: è un autore d’urto della cinematografia giapponese, che ha segnato il passaggio tra il cinema “classico” e le nuove generazioni di registi. Imamura scava a fondo nella storia del suo Paese, ne mette a nudo lacerazioni, conflitti profondi, tempeste antropologiche, desideri delittuosi: una società che subisce il crollo delle tradizioni e l’emergere della violenza neocapitalistica. I film che presentiamo sono veri e propri capolavori che strappano la maschera di una visione obsoleta della realtà nipponica.

Il cinema d’oltralpe degli anni ’60 e ’70 visto attraverso due registi di culto: François Truffaut e Jacques Demy. Due autori nel senso pieno della parola, entrambi prematuramente scomparsi, che hanno lavorato sui generi classici del cinema americano, ma infondendo le variazioni e le deviazioni di una cultura europea “anarchica”, meno vincolata ai codici della produzione seriale. Nelle loro opere si respira aria fresca: più libertà, più inventiva, una messa in scena che sfrutta i luoghi del reale per adattarli e insieme piegarli alle pretese del racconto. Con personaggi e attori che sono nella memoria di molti: Jean-Pierre Léaud, l’eterno adolescente Antoine Doinel; Jeanne Moreau e Anouk Aimée, donne caparbie e risolute, seducenti sempre e in qualsiasi luogo.

Nella rassegna c’è anche la proiezione per l’appuntamento annuale di A Shot in the Dark, con un cult torbido e kafkiano: Shock Corridor, regia di Samuel Fuller. La discesa agli inferi di un reporter che pretende troppo dalla sua presunta “normalità”.

Tutti i film sono in pellicola 35 mm, nella versione originale con sottotitoli italiani.

Tutto è cominciato alla fine dell’estate scorsa. Nella seconda metà di agosto a Bergamo nasce un nuovo cinema. Si chiama Lo schermo bianco e si trova nel complesso architettonico dell’Ex Centrale Daste e Spalenga, un’area industriale dismessa situata sull’asse viario Bergamo/Seriate. Una vera e propria sala cinematografica, dotata di uno schermo considerevole di 10 mt di base, un sistema di proiezione digitale laser di ultima generazione, un impianto audio dolby 7.1: quanto, oggi, ci si può aspettare di meglio dalla tecnologia.
Perché il nome Lo Schermo Bianco? La storia risale a circa quarant’anni fa, quando Lab 80 dovette chiudere un luogo di proiezione “accampato” in uno scantinato in via Guglielmo d’Alzano, proprio sotto la sede dell’allora PCI. Quella specie di rifugio, per cinefili e spettatori alternativi, si chiamava schermobianco, una parola sola, quando erano di moda le parole composte, inventate secondo necessità, non scevre di allusioni tendenziose e puntualmente ideologiche.
Lì si dava convegno una turbolenta “carboneria” di appassionati, che non disdegnavano di passare dall’erotico d’antan o d’autore al cinema sperimentale più estremo, ma passando obbligatoriamente per i classici della storia del cinema, alcuni conosciuti, ma tanti da riscoprire, possibilmente nella versione originale.
Lo schermo bianco ha, quindi, radici lontane e profonde. Ora sta programmando prime visioni, rassegne, anteprime, film di approfondimento: segni di un percorso che si farà via via più complesso e articolato, rivolto a un pubblico vasto e differenziato.
La sala è gestita da Lab 80, nata alla metà degli anni ’70 da una costola dell’Associazione Laboratorio 80, già Cineforum di Bergamo, costituita nel 1959 e cresciuta in maniera esponenziale tra gli anni ‘70 e gli ‘80, quando c’erano ancora i dibattiti e si discuteva in maniera militante di cinema politico: oggi sembra preistoria. Ma torniamo a noi. È vero: il digitale ha sostituito la pellicola, le proiezioni sono pulite, i bordi dell’inquadratura perfetta, il suono avvolgente e ammaliante, senza interferenze. Anche i restauri in digitale dei vecchi film risplendono di perfezione, privi come sono di rigature, di “sporchini” vari, di salti di fotogrammi e di altri difetti che non stiamo ad elencare.
Intendiamoci, anche a noi piacciono molto, li guardiamo senza patemi, ci diciamo spesso che bel lavoro di restauro è stato fatto, ormai la tecnologia può fare di tutto. Eppure, a questi vecchi film manca qualcosa: manca il sentimento del tempo, manca quella luce particolare, mancano quel sapore che andava oltre lo sguardo, quei disturbi che erano come un sigillo di garanzia, quella sensazione quasi tattile che ti portava dentro le immagini e la loro materia emotiva.

Ci siamo detti: insieme a Lab 80 nella nostra lunga storia abbiamo proposto, raccolto e distribuito tanti film, molti sono ancora in buone condizioni. Sono stati realizzati da grandi maestri, sono pietre miliari che i giovani non hanno potuto assaporare nel chiuso di una sala, che anche i meno giovani possono rivedere se non addirittura riscoprire. E poi siamo sempre in contatto con altre cineteche, con archivi privati: un giacimento dalle dimensioni incalcolabili, dove è possibile trovare rarità e film che si pensava scomparsi per sempre. Così, abbiamo deciso di iniziare un cammino, che, speriamo, continuerà in futuro, con tappe settimanali o quindicinali, ma cercando una continuità, cercando di “non perdere il filo”, immaginando una sorta di serial della memoria, con le puntate che ogni volta riservano qualche sorpresa.
Il dialogo con il cinema del passato è assolutamente fecondo e, per certi versi, può anche illuminare il presente, attraverso le differenze, le distanze spazio-temporali, ma anche quelle tecnologiche. E poi ci sono le diversità di sguardo, le mutazioni nel modo di essere spettatori, i sommovimenti dentro quel calderone di reazioni, attrazioni e repulsioni che agiscono nell’intimità più profonda di chi entra in sala. Perché il cinema di una volta ha ancora presa sugli spettatori di oggi: questo è innegabile. Una fascinazione, un incanto, una “magnifica ossessione”, quindi, che vanno alimentati, accontentati, con la volontà di riaprire tante pagine della storia del cinema e della nostra storia.
A Lo schermo bianco c’è un proiettore 35mm praticamente nuovo: proviene da un fallimento e questo per noi è un ulteriore stimolo: ridare vita a una macchina che giaceva in un magazzino e renderla ancora capace di restituire racconti, identificazioni e sogni.

Bergamo Film Meeting, fin dalla sua nascita nel 1983, ha sempre dedicato grande attenzione ad autori e periodi fondamentali della storia del cinema. Non si contano, ormai, le retrospettive organizzate nel corso degli anni, molte della quali sono state al centro di iniziative di distribuzione (proprio in collaborazione con Lab 80 film!). Pensiamo, per citarne alcune, a quelle dedicate a Shohei Imamura, a Carl Th. Dreyer, a Robert Bresson, a Andrej Tarkovskij, a François Truffaut, alla commedia americana classica, al noir americano. Anche questi erano sogni, che tenevamo nel cassetto, perché in noi c’è sempre stata la speranza di riportare su grande schermo film imprescindibili per pensare il cinema e in generale la cultura del novecento. È sempre stato uno dei cardini del nostro lavoro portare i film in sala, vecchi e nuovi, per viverli e condividerli tutti insieme. Quello che la pandemia ci ha tolto per troppo tempo: un periodo che vorremmo definitivamente chiuso. Ritornare a sederci e godere lo spettacolo, nel rispetto delle normative, è la migliore convalescenza per avviarci verso una completa guarigione.
In pratica e in maniera più o meno subliminale, la relazione tra Bergamo Film Meeting e Lab 80 c’è sempre stata. Per tutti e due i soggetti coinvolti, una nuova ricognizione del passato sarà parte viva del loro futuro: una sorta di ossimoro strategico che riflette una dote – anche nel significato di contributo che la persona porta con sé – essenziale in chi fa il nostro mestiere: la passione per il cinema, ma anche e soprattutto la soddisfazione e il piacere di far conoscere a più persone possibili i film che contano, insieme alla bellezza che si lasciano dietro.

I film della rassegna

Informazioni

Tutti i film sono in versione originale, con sottotitoli in italiano.

INGRESSO
Biglietto: euro 6,50
Ridotto: euro 5,50
Donatori BFM 20232, soci Lab 80: euro 4,50

Per le modalità di accesso alla sala consultare il sito lab80.it/sogniinpellicola.

Una proposta Bergamo Film Meeting Onlus e Lab 80 film.
Il Comune di Bergamo sostiene le attività di BFM Onlus

Archivio Rassegna

Imamura e Kitano: antropologia di un Giappone disincantato

dal 17 aprile al 29 maggio 2023

Quinto appuntamento con i grandi classici in pellicola! Shôhei Imamura nasce nel 1926, Takeshi Kitano nel 1947: due generazioni separate dalla seconda guerra mondiale, un’esperienza tragica e devastante per il Giappone. Due autori dai tratti stilistici molto diversi, ma che condividono uno sguardo spietato e impietoso, a volte con pennellate di sarcasmo, sulla società nipponica, intrisa di tenaci, “indispensabili” sopravvivenze fatte di arcaicità, richiami di una natura penetrante, pulsioni primarie, leggi del sangue. Tra crime film, black comedy, drama e action movie, i due autori si immergono nelle contraddizioni del loro paese, nelle lacerazioni di esistenze tra loro lontane, ma che, pur in epoche diverse, condividono disagi, desideri “inappagati”, cedimenti, dissoluzioni, frustrazioni.

Il 2 maggio, eccezionalmente di martedì e in Auditorium di Piazza Libertà, il collettivo FUCK!LACRÈME sonorizza dal vivo Michaël, capolavoro del 1924 di Carl Theodor Dreyer, la storia di un desiderio “rubato”. Una collaborazione tra Festival ORLANDO, Lab 80 e Bergamo Film Meeting.

Tutti i film sono in pellicola 35 mm, nella versione originale con sottotitoli italiani.

Commedia e dramma: la vita al cinema

dal 23 gennaio al 6 marzo 2023

Quarto appuntamento della proposta di classici in pellicola, un progetto che il pubblico di Lab 80 sta molto apprezzando, con tanti giovani attratti da una tecnica di proiezione ormai assente dalle sale, ma che presenta caratteri incisivi di unicità e inimitabilità. Neri, bianchi, ombre, luci, contrasti, assonanze, densità e equilibri cromatici… tutto è diverso con la pellicola. Con la tecnologia digitale si sono raggiunti livelli di resa fotografica e sonora altissimi, sia nel cinema del presente che in quello del passato, recuperato attraverso restauri meticolosi e di grande fascino. Diventa, quindi, stimolante, mentalmente e emotivamente proficuo, confrontarsi con i due sistemi di riproduzione su grande schermo, per cogliere le differenze, percepire i diversi costituenti dell’immagine, le diverse sensazioni, suscitate dalla profondità spaziale e dall’uso delle cornici, che decidono le forme della prospettiva e le direzioni degli sguardi.
Per questo quarto atto, in attesa del prossimo Bergamo Film Meeting di marzo, ormai alla 41ª edizione, la rappresentazione continua sul doppio registro di commedia e dramma; il secondo elemento abbraccia un doveroso omaggio a un’altra grande figura della storia del cinema, Robert Bresson. Il suo nome non è molto diffuso tra il pubblico, ma con una filmografia di soli 14 titoli, il regista francese ha lasciato un’impronta incancellabile ed è stato un esempio per le successive generazioni di autori. Il suo è un cinema che si potrebbe definire totale, della purezza di un diamante dal taglio perfetto, dove nulla è lasciato al caso. Ogni inquadratura, ogni gesto, ogni dettaglio, presi dal disordine e dalla crudeltà del reale, si aprono alla forza del significato, al dolore dell’esistenza, alla luce della “resurrezione”. Così, non ci si deve meravigliare se un asino interpreta magnificamente il sacrificio dell’innocenza, un prigioniero della barbarie fascista l’ostinazione mai doma ed esclusiva del sentimento della libertà, un borsaiolo la rivolta necessaria per il riconoscimento dello sguardo dell’altro.
Quattro gioielli della commedia americana si alternano ai film di Bresson: due Lubitsch, un McCarey e un Cukor. Quattro sceneggiature di ferro, attori straordinari, colpi di scena, eleganza, ricatti amorosi, capovolgimenti, seduzione, malintesi, doppi sensi, schermaglie verbali. Meccanismi ben oliati, narrazioni che procedono senza intoppi, incalzanti quando la storia lo richiede, con momenti di sofisticato sarcasmo e di raffinata critica sociale. E una vena romantica che non nasconde una sottile perfidia.

Tutti i film sono in pellicola 35 mm, nella versione originale con sottotitoli italiani.

Commedia e dramma: il paradosso dell’umano

dal 17 ottobre al 25 gennaio 2023

Vent’anni fa moriva Billy Wilder, all’età di quasi 96 anni. Nato a Sucha, una cittadina della Galizia allora facente parte dell’Impero Austro-Ungarico, oggi in Polonia, da una famiglia ebrea ashkenazita di lingua yiddish, si trasferisce prima a Vienna e poi a Berlino. Nel 1934, dopo l’ascesa di Hitler, espatria negli Stati Uniti. I suoi parenti vengono catturati dai nazisti e morirono nel campo di sterminio di Auschwitz. In America Wilder continua la sua attività di sceneggiatore. Ricordiamo due titoli di questo omaggio: Midnight di Mitchell Leisen e Ninotchka di Ernst Lubitsch, il regista, russo berlinese, anche lui ebreo ashkenazita, che Wilder considererà sempre il suo maestro. I film che presentiamo appartengono, meno il capolavoro del noir La fiamma del peccato, al genere commedia, della quale il nostro è stato un grande interprete, innervando la tradizione americana di una buona dose di ironia, a volte di sarcasmo, talora di impertinente e sorniona critica sociale. Veri e propri gioielli letterari, espressioni di uno spirito libero e di tendenze anarchiche, mai volgare, argutamente pungente.

Con Wilder proponiamo quattro film di Carl Theodor Dreyer, quattro testi cinematografici imperdibili. Nato a Copenaghen nel 1889, è considerato una delle figure più rappresentative di tutta la storia del cinema. Interprete di un umanesimo radicale, tragico e redentivo insieme, il regista danese sonda l’interiorità dell’individuo e la proietta in un bianco e nero icastico, tra luci e ombre di rara intensità, dove il tutto, la natura, le cose, i volti, le figure, sono come sospese tra materialità e tensione verso un altrove di angosciosa trascendenza. Un cinema assoluto, unico: un’esperienza visiva che si insinua nella mente e nella carne dello spettatore.

Due percorsi cinematografici profondamente diversi, quelli di Wilder e Dreyer, ma il fascino del cinema è anche nella grande varietà dei linguaggi, degli stili, delle forme di racconto che si sono succeduti nel passato e che si manifestano nel presente.

La proposta, che vede la collaborazione tra Lab 80 e Bergamo Film Meeting, è rivolta a tutto il pubblico e in particolare ai giovani, perché possano toccare la differenza della proiezione su grande schermo, la sua magia, la sua capacità di restituire ai film la forza dei loro molteplici messaggi. E percepire ancora quell’altra luce, prima dell’era digitale: un secolo di migrazioni fantastiche, di viaggi nel tempo e nello spazio, di rappresentazioni del mondo, ora sparpagliati in migliaia di archivi, per quelle poche sale che, come le nostre, hanno ancora in cabina i proiettori di un tempo, con la pellicola che, grazie al dispositivo chiamato Croce di Malta, si ferma per essere attraversata dalla luce 24 volte al secondo.

Nel labirinto del tempo

dal 7 febbraio al 25 marzo 2022

La seconda serie di Sogni in pellicola riparte con il film cult di Wim Wenders Nel corso del tempo, finalmente presentato in 35mm.
In occasione dei quarant’anni del Festival, non può esserci scelta migliore che riproporre la retrospettiva dedicata a Andrej Tarkovskij, una proposta fatta nel 2004 che ci piace definire epocale. Per l’occasione erano state stampate in Russia copie nuove e corrispondenti agli originali voluti dal grande regista, prematuramente scomparso. Ricordiamo l’Auditorium pieno all’inverosimile, il silenzio “religioso” durante le proiezioni, l’emozione con cui gli spettatori hanno seguito le proiezioni. Per conoscere e riflettere sulla cultura del Novecento, sui grandi sconvolgimenti che l’hanno caratterizzato, non è possibile prescindere dall’opera di Tarkovskij. Ma i suoi film sono più che mai contemporanei, espressione di un umanesimo critico e inquieto, riflesso di una condizione umana che si oppone alla decadenza dei tempi.

Nel labirinto del tempo si concluderà eccezionalmente venerdì 25 marzo, in Agorà Daste, con un evento speciale per inaugurare la 40ª edizione del Festival.

Truffaut e il noir americano

dal 22 novembre al 27 dicembre 2021

Alcuni elementi del noir classico americano degli anni ’40 sono noti a tutti: la derivazione dal romanzo hard boiled, fiorito negli USA a partire dagli anni ’20 del Novecento, l’ambientazione urbana, l’uso spasmodico del chiaroscuro, il contrasto tra luce e ombra, il delitto come motore dell’azione, il doppio gioco, lo scambio di persona, la truffa, l’eventuale incontro con il poliziesco e la detective story, l’adulterio, il tradimento, l’inganno, la rilevanza della figura della dark lady, il cinismo, la sete di vendetta, la seduzione, l’erotismo morboso, la trappola mortale, la pioggia, la notte, le luci inquietanti dei lampioni e dei neon, la vertigine dello specchio. Insomma, un labirinto di ambiguità, un senso crescente di smarrimento, la presenza di un destino già segnato che si percepisce in volti, cose, ambienti.

Il termine noir fu coniato dalla critica francese intorno alla metà degli anni ’50, a ridosso di quella che è unanimemente chiamata la nouvelle vague, e che alle origini ha avuto come corifei François Truffaut, Jean-Luc Godard, Jacques Rivette, Claude Chabrol e Éric Rohmer. Tutti costoro collaboravano alla rivista «Cahiers du cinéma», che si è fatta promotrice di una riscoperta/rivalutazione del cinema classico d’autore hollywoodiano, in primis della figura di Alfred Hitchcock. Truffaut gli ha dedicato una lunga intervista, pubblicata in un libro che è diventato una pietra miliare per coloro che vogliono apprendere i “trucchi del mestiere” riguardo alla settima arte. Quella di Truffaut, che qui viene proposta con tre film, è una rivisitazione, in salsa francese e contemporanea, di alcuni “passaggi” del cinema noir. Il confronto è con altri tre film americani, due dei quali portano la firma del galiziano ebreo Billy Wilder e dell’austriaco di origini ebraiche Fritz Lang, entrambi fuggiti dalla Germania nei primi anni ’30, portandosi dietro pezzi dell’esperienza espressionista, che bene si conformavano alle angosce e alle tenebre di un genere che aveva percorso gli anni della seconda guerra mondiale e quelli immediatamente successivi.
Sarà intrigante, per lo spettatore, riconoscere in Truffaut i segni di una fascinazione, di un’attrazione verso oggetti, figure, luoghi e forme di un cinema ormai classico, cioè imprescindibile, sempre vivo e da ri-scoprire ad ogni visione.

Progetti speciali

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