Sogni in pellicola

dal 7 febbraio al 25 marzo 2022
La seconda serie di Sogni in pellicola riparte con il film cult di Wim Wenders Nel corso del tempo, finalmente presentato in 35mm.
In occasione dei quarant’anni del Festival, non può esserci scelta migliore che riproporre la retrospettiva dedicata a Andrej Tarkovskij, una proposta fatta nel 2004 che ci piace definire epocale. Per l’occasione erano state stampate in Russia copie nuove e corrispondenti agli originali voluti dal grande regista, prematuramente scomparso. Ricordiamo l’Auditorium pieno all’inverosimile, il silenzio “religioso” durante le proiezioni, l’emozione con cui gli spettatori hanno seguito le proiezioni. Per conoscere e riflettere sulla cultura del Novecento, sui grandi sconvolgimenti che l’hanno caratterizzato, non è possibile prescindere dall’opera di Tarkovskij. Ma i suoi film sono più che mai contemporanei, espressione di un umanesimo critico e inquieto, riflesso di una condizione umana che si oppone alla decadenza dei tempi.
Nel labirinto del tempo si concluderà eccezionalmente venerdì 25 marzo, in Agorà Daste, con un evento speciale per inaugurare la 40ª edizione del Festival.
Tutto è cominciato alla fine dell’estate scorsa. Nella seconda metà di agosto a Bergamo nasce un nuovo cinema. Si chiama Lo schermo bianco e si trova nel complesso architettonico dell’Ex Centrale Daste e Spalenga, un’area industriale dismessa situata sull’asse viario Bergamo/Seriate. Una vera e propria sala cinematografica, dotata di uno schermo considerevole di 10 mt di base, un sistema di proiezione digitale laser di ultima generazione, un impianto audio dolby 7.1: quanto, oggi, ci si può aspettare di meglio dalla tecnologia.
Perché il nome Lo schermo bianco? La storia risale a circa quarant’anni fa, quando Lab 80 dovette chiudere un luogo di proiezione “accampato” in uno scantinato in via Guglielmo d’Alzano, proprio sotto la sede dell’allora PCI. Quella specie di rifugio, per cinefili e spettatori alternativi, si chiamava schermobianco, una parola sola, quando erano di moda le parole composte, inventate secondo necessità, non scevre di allusioni tendenziose e puntualmente ideologiche.
Lì si dava convegno una turbolenta “carboneria” di appassionati, che non disdegnavano di passare dall’erotico d’antan o d’autore al cinema sperimentale più estremo, ma passando obbligatoriamente per i classici della storia del cinema, alcuni conosciuti, ma tanti da riscoprire, possibilmente nella versione originale.
Lo schermo bianco ha, quindi, radici lontane e profonde. Ora sta programmando prime visioni, rassegne, anteprime, film di approfondimento: segni di un percorso che si farà via via più complesso e articolato, rivolto a un pubblico vasto e differenziato.
La sala è gestita da Lab 80, nata alla metà degli anni ’70 da una costola dell’Associazione Laboratorio 80, già Cineforum di Bergamo, costituita nel 1959 e cresciuta in maniera esponenziale tra gli anni ‘70 e gli ‘80, quando c’erano ancora i dibattiti e si discuteva in maniera militante di cinema politico: oggi sembra preistoria. Ma torniamo a noi. È vero: il digitale ha sostituito la pellicola, le proiezioni sono pulite, i bordi dell’inquadratura perfetta, il suono avvolgente e ammaliante, senza interferenze. Anche i restauri in digitale dei vecchi film risplendono di perfezione, privi come sono di rigature, di “sporchini” vari, di salti di fotogrammi e di altri difetti che non stiamo ad elencare.
Intendiamoci, anche a noi piacciono molto, li guardiamo senza patemi, ci diciamo spesso che bel lavoro di restauro è stato fatto, ormai la tecnologia può fare di tutto. Eppure, a questi vecchi film manca qualcosa: manca il sentimento del tempo, manca quella luce particolare, mancano quel sapore che andava oltre lo sguardo, quei disturbi che erano come un sigillo di garanzia, quella sensazione quasi tattile che ti portava dentro le immagini e la loro materia emotiva.
Ci siamo detti: insieme a Lab 80 nella nostra lunga storia abbiamo proposto, raccolto e distribuito tanti film, molti sono ancora in buone condizioni. Sono stati realizzati da grandi maestri, sono pietre miliari che i giovani non hanno potuto assaporare nel chiuso di una sala, che anche i meno giovani possono rivedere se non addirittura riscoprire. E poi siamo sempre in contatto con altre cineteche, con archivi privati: un giacimento dalle dimensioni incalcolabili, dove è possibile trovare rarità e film che si pensava scomparsi per sempre. Così, abbiamo deciso di iniziare un cammino, che, speriamo, continuerà in futuro, con tappe settimanali o quindicinali, ma cercando una continuità, cercando di “non perdere il filo”, immaginando una sorta di serial della memoria, con le puntate che ogni volta riservano qualche sorpresa.
Il dialogo con il cinema del passato è assolutamente fecondo e, per certi versi, può anche illuminare il presente, attraverso le differenze, le distanze spazio-temporali, ma anche quelle tecnologiche. E poi ci sono le diversità di sguardo, le mutazioni nel modo di essere spettatori, i sommovimenti dentro quel calderone di reazioni, attrazioni e repulsioni che agiscono nell’intimità più profonda di chi entra in sala. Perché il cinema di una volta ha ancora presa sugli spettatori di oggi: questo è innegabile. Una fascinazione, un incanto, una “magnifica ossessione”, quindi, che vanno alimentati, accontentati, con la volontà di riaprire tante pagine della storia del cinema e della nostra storia.
A Lo schermo bianco c’è un proiettore 35mm praticamente nuovo: proviene da un fallimento e questo per noi è un ulteriore stimolo: ridare vita a una macchina che giaceva in un magazzino e renderla ancora capace di restituire racconti, identificazioni e sogni.
Bergamo Film Meeting, fin dalla sua nascita nel 1983, ha sempre dedicato grande attenzione ad autori e periodi fondamentali della storia del cinema. Non si contano, ormai, le retrospettive organizzate nel corso degli anni, molte della quali sono state al centro di iniziative di distribuzione (proprio in collaborazione con Lab 80 film!). Pensiamo, per citarne alcune, a quelle dedicate a Shohei Imamura, a Carl Th. Dreyer, a Robert Bresson, a Andrej Tarkovskij, a François Truffaut, alla commedia americana classica, al noir americano. Anche questi erano sogni, che tenevamo nel cassetto, perché in noi c’è sempre stata la speranza di riportare su grande schermo film imprescindibili per pensare il cinema e in generale la cultura del novecento. È sempre stato uno dei cardini del nostro lavoro portare i film in sala, vecchi e nuovi, per viverli e condividerli tutti insieme. Quello che la pandemia ci ha tolto per troppo tempo: un periodo che vorremmo definitivamente chiuso. Ritornare a sederci e godere lo spettacolo, nel rispetto delle normative, è la migliore convalescenza per avviarci verso una completa guarigione.
Nel 2022 il Festival compirà quarant’anni, un traguardo ragguardevole per un’iniziativa che ha dovuto affrontare tante prove per difendere la propria sopravvivenza. In pratica e in maniera più o meno subliminale, la relazione tra Bergamo Film Meeting e Lab 80 c’è sempre stata. Per tutti e due i soggetti coinvolti, una nuova ricognizione del passato sarà parte viva del loro futuro: una sorta di ossimoro strategico che riflette una dote – anche nel significato di contributo che la persona porta con sé – essenziale in chi fa il nostro mestiere: la passione per il cinema, ma anche e soprattutto la soddisfazione e il piacere di far conoscere a più persone possibili i film che contano, insieme alla bellezza che si lasciano dietro.
Il progetto parte lunedì 22 novembre. Per il primo ciclo abbiamo pensato a una proposta giocata sulla trasversalità. Abbiamo scelto tre classici del noir americano e li facciamo dialogare con un autore che ha molto amato il cinema americano e che ne ha rimasticato alcuni cliché. Qui Truffaut, con i tre film in programma, pesca con la sua solita originalità e con sensibilità contemporanea, alcuni temi, come quello della fuga, della dark lady, della vendetta, dell’inganno, dell’ambiguità, che costituiscono la linfa di un genere che ha mobilitato stuoli di critici e di imitatori.
Tutti i film sono in versione originale, con sottotitoli in italiano.
INGRESSO
Biglietto: euro 6,50
Ridotto: euro 5,50
Donatori BFM, abbonati BFM Lovers 2021 e soci Lab 80: euro 4,50
Per le modalità di accesso alla sala consultare il sito lab80.it/sogniinpellicola.
Una proposta Bergamo Film Meeting Onlus e Lab 80 film.
Il Comune di Bergamo sostiene le attività di BFM Onlus
dal 22 novembre al 27 dicembre 2021
Alcuni elementi del noir classico americano degli anni ’40 sono noti a tutti: la derivazione dal romanzo hard boiled, fiorito negli USA a partire dagli anni ’20 del Novecento, l’ambientazione urbana, l’uso spasmodico del chiaroscuro, il contrasto tra luce e ombra, il delitto come motore dell’azione, il doppio gioco, lo scambio di persona, la truffa, l’eventuale incontro con il poliziesco e la detective story, l’adulterio, il tradimento, l’inganno, la rilevanza della figura della dark lady, il cinismo, la sete di vendetta, la seduzione, l’erotismo morboso, la trappola mortale, la pioggia, la notte, le luci inquietanti dei lampioni e dei neon, la vertigine dello specchio. Insomma, un labirinto di ambiguità, un senso crescente di smarrimento, la presenza di un destino già segnato che si percepisce in volti, cose, ambienti.
Il termine noir fu coniato dalla critica francese intorno alla metà degli anni ’50, a ridosso di quella che è unanimemente chiamata la nouvelle vague, e che alle origini ha avuto come corifei François Truffaut, Jean-Luc Godard, Jacques Rivette, Claude Chabrol e Éric Rohmer. Tutti costoro collaboravano alla rivista «Cahiers du cinéma», che si è fatta promotrice di una riscoperta/rivalutazione del cinema classico d’autore hollywoodiano, in primis della figura di Alfred Hitchcock. Truffaut gli ha dedicato una lunga intervista, pubblicata in un libro che è diventato una pietra miliare per coloro che vogliono apprendere i “trucchi del mestiere” riguardo alla settima arte. Quella di Truffaut, che qui viene proposta con tre film, è una rivisitazione, in salsa francese e contemporanea, di alcuni “passaggi” del cinema noir. Il confronto è con altri tre film americani, due dei quali portano la firma del galiziano ebreo Billy Wilder e dell’austriaco di origini ebraiche Fritz Lang, entrambi fuggiti dalla Germania nei primi anni ’30, portandosi dietro pezzi dell’esperienza espressionista, che bene si conformavano alle angosce e alle tenebre di un genere che aveva percorso gli anni della seconda guerra mondiale e quelli immediatamente successivi.
Sarà intrigante, per lo spettatore, riconoscere in Truffaut i segni di una fascinazione, di un’attrazione verso oggetti, figure, luoghi e forme di un cinema ormai classico, cioè imprescindibile, sempre vivo e da ri-scoprire ad ogni visione.